I nostri telefoni ci ascoltano? Purtroppo è una domanda che sta diventando sempre più ricorrente, specialmente quando ci capita di parlare tra di noi di un prodotto che poi troviamo poco dopo sul nostro smartphone come pubblicità. Questo timore, spesso etichettato come paranoia, potrebbe però non essere così infondato. Recentemente, infatti, è emersa una specie di funzione in grado di sfruttare le nostre conversazioni a scopo pubblicitario. Ovvero Active Listening.
La (presunta) funzione Active Listening sugli smartphone
Riferisce il Guardian, una recente scoperta fatta da 404 Media, un sito di notizie specializzato in tecnologia, ha rivelato l’esistenza di una funzione pubblicitaria chiamata “Active Listening”, proposta dalla società di marketing Cox Media Group (CMG) in un apposito pitch deck.
Come ribatte anche Fanpage, questo strumento funziona grazie a dispositivi intelligenti, e permette di raccogliere dati in tempo reale attraverso i microfoni dei dispositivi smart per poi utilizzarli nella targetizzazione degli annunci pubblicitari.
Nota particolare è anche il fatto che sul pitch deck di CMG sarebbero presenti come partner dell’azienda colossi tech come Google, Amazon e Facebook. Anche se, riferisce Fanpage, Google ha dichiarato di aver rimosso CMG dal suo programma di partner pubblicitari, mentre Amazon ha negato qualsiasi collaborazione con CMG su questo specifico progetto. Meta (l’azienda madre di Facebook) ha affermato di stare investigando se CMG abbia violato i suoi termini di servizio.
Gli smartphone ci spiano davvero?
Stando al Corriere della Sera, in realtà bisognerebbe andarci cauti su questa faccenda, visto che non ci sono prove effettive che quanto affermato da Cox Media su questa funzione sia reale. Potrebbe anche essere una semplice millanteria, anche perché oggi il tracciamento (o meglio lo spionaggio) avviene in altri modi.
Come ad esempio attraverso i dati che forniamo inconsapevolmente attraverso le app, gli acquisti, la navigazione online, la geolocalizzazione e tanto altro. Parliamo di dati più economici da elaborare e che forniscono un’infinità di informazioni preziose per il cosiddetto targeting pubblicitario. Lo stesso vale per gli aggregatori di dati, e così anche i dati del posizionamento geografico tramite GPS. Tutti strumenti che ogni giorno utilizziamo, e che a sua volta portano a sostenere il tracking a nostro “danno”.
Sempre il Corriere ha voluto approfondire la faccenda intervistando Riccardo Meggiato, esperto di cybersicurezza e informatico forense. Stando a Meggiato, questa funzione di Active Listening non sarebbe irreale, anche se, essendo un software, bisognerebbe chiedersi di quale software si tratti. Difficilmente si potrebbe trattare di un trojan, dato che in genere viene usato da hacker o dalle forze dell’ordine. E non da società di marketing, che in genere si appoggiano a tecnologie software già presenti nel telefono, tutte tutelate dalle normative odierne.
Probabilmente è una “mezza leggenda metropolitana”. Tra l’altro, oggi ci sono metodi più semplici con cui ottenere informazioni preziose. E che, combinate tra loro, possono dare l’impressione che certi suggerimenti pubblicitari siano frutto dell’ascolto attivo. Probabilmente, riferisce Meggiato, questa funzione di Active Listening si riferisce soltanto a semplici “sistemi di trascrizione automatica” di messaggi che poi vengono memorizzati su server dai quali attingere in seguito.
Come proteggersi dallo smartphone “spione”
Questo scenario apre interrogativi inquietanti sulla privacy. Già in passato, sottolinea il Guardian, sono state fatte sperimentazioni su tecniche avanzate come la “targeted dream incubation”, un tentativo di influenzare persino i nostri sogni a fini pubblicitari. L’idea di un mondo in cui ogni nostra conversazione possa essere utilizzata per scopi commerciali sembra quasi un incubo distopico. Eppure, potrebbe essere più vicino alla realtà di quanto vorremmo ammettere.
Riferisce Fanpage, secondo Fernando Suárez, presidente del Council of Colleges in Engineering Informatics, esistono due tipologie di applicazioni che già oggi potrebbero “ascoltare” le nostre conversazioni. Da una parte ci sono gli assistenti vocali come Siri e Alexa, sempre pronti a rispondere ai nostri comandi. Dall’altra, ci sono le applicazioni che scarichiamo sui nostri dispositivi, le quali potrebbero avere accesso ai microfoni se concediamo loro le giuste autorizzazioni.
Suárez sottolinea l’importanza di essere consapevoli delle autorizzazioni che diamo alle applicazioni. Per questo è fondamentale rivedere regolarmente le impostazioni sulla privacy dei nostri dispositivi e, se necessario, revocare gli accessi a microfono e telecamera per le app che non ne hanno bisogno. Questo semplice accorgimento può rappresentare un primo passo per proteggere la nostra privacy in un mondo in cui i confini tra pubblico e privato si fanno sempre più sottili.