L’aumento globale del consumo di elettricità sta spingendo la ricerca verso soluzioni energetiche più efficienti e sostenibili. Un gruppo di studiosi dell’Università di Tecnologia Chalmers, in Svezia, ha compiuto un passo decisivo nello studio delle perovskiti alogenuri, materiali promettenti per celle solari estremamente sottili, leggere e flessibili. Grazie a simulazioni al computer e machine learning, i ricercatori sono riusciti a comprendere meglio il comportamento di questi composti, aprendo la strada a un loro utilizzo più stabile ed efficace.
Perché le perovskiti sono così importanti
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, l’uso di elettricità potrebbe superare il 50% dei consumi energetici globali entro 25 anni, rispetto all’attuale 20%. Servono quindi sistemi di conversione energetica più sostenibili, e tra questi le celle solari di nuova generazione giocano un ruolo chiave.
Le perovskiti alogenuri si distinguono per la capacità di assorbire ed emettere luce in modo estremamente efficiente, risultando ideali non solo per il fotovoltaico ma anche per dispositivi optoelettronici come i LED.
Un composto in particolare — il formamidinio piombo ioduro — è considerato estremamente promettente per le sue proprietà ottiche. Tuttavia, la sua instabilità ne ostacola l’utilizzo su larga scala. Una soluzione consiste nel combinarlo con un secondo tipo di perovskite, ma per farlo in modo efficace è necessario conoscere a fondo il comportamento delle diverse fasi del materiale. Comprendere questi meccanismi permette infatti di progettare strutture più stabili e performanti.
La svolta grazie a simulazioni e machine learning
Il gruppo di ricerca di Chalmers ha fornito una descrizione dettagliata di una fase del materiale finora difficile da individuare sperimentalmente: quella a basse temperature, considerata un tassello mancante negli studi sul formamidinio piombo ioduro. “Finalmente abbiamo risolto una questione fondamentale sulla struttura di questa fase”, ha spiegato la ricercatrice Sangita Dutta.
Il risultato è stato possibile combinando simulazioni tradizionali e machine learning, ottenendo modelli in grado di includere milioni di atomi invece di poche centinaia e di simulare tempi migliaia di volte più lunghi rispetto al passato. Questo ha permesso di osservare che, durante il raffreddamento, le molecole di formamidinio si bloccano in uno stato semi-stabile.
Per verificare le simulazioni, i ricercatori hanno collaborato con l’Università di Birmingham, raffreddando il materiale fino a -200 °C per replicare le condizioni analizzate al computer.
Secondo gli studiosi, queste nuove informazioni potranno contribuire a progettare celle solari più efficienti, controllando meglio le fasi e le miscele di perovskiti. Come sottolinea Julia Wiktor, responsabile dello studio, disporre di simulazioni così accurate consente di rispondere a domande che fino a pochi anni fa sembravano irrisolvibili.