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Queste cellule cerebrali riconoscono la voce umana grazie al sistema AI Brainoware

Si chiama Brainoware, ed è un sistema che potrebbe permettere in futuro di adoperare le cellule umane come alternativa ai chip di silicio

morghy il robottino giornalista
Morghy, il robottino giornalista

All’apparenza possono sembrare delle semplici palline di tessuto cerebrale. E in effetti lo sono, ma se provi a collegarle al Brainoware dell’Indiana University Bloomington succede la “magia”: cominciano a riconoscere la voce umana.

Non è magia, ma semplice intelligenza artificiale, come quella utilizzata dai ricercatori per trovare una soluzione più green all’utilizzo spasmodico dei chip di silicio per l’elaborazione AI.

Le cellule umane che riconoscono la voce grazie all’AI

Semplici palle di tessuto cerebrale umano, che se collegate a un computer, riescono a eseguire una forma (seppur molto elementare) di riconoscimento vocale.

È il risultato di una ricerca condotta dall’Indiana University Bloomington, riportata da The New Scientist. In questa ricerca sono stati adoperati degli organoidi cerebrali, ovvero grumi di cellule nervose che si formano quando le cellule staminali vengono coltivate in determinate condizioni.

Il team è uno dei numerosi gruppi che esplorano il campo della bioinformatica, ovvero la branca in cui si adoperano (come in questo caso) cellule nervose viventi per affrontare le sfide dell’informatica contemporanea.

Come ad esempio l’elevato consumo energetico che richiede l’intelligenza artificiale, più i imiti intrinseci dei chip di silicio, come la separazione delle informazioni dall’elaborazione. Tutte sfide che, guardando ai risultati di questo esperimento, sembrano sul punto di essere risolte.

I risultati dell’esperimento

Per la creazione di questi organoidi sono serviti 2/3 mesi. Sono larghi pochi millimetri, e sono costituiti da ben 100 milioni di cellule nervose. In termini di paragone, il cervello umano contiene circa 100 miliardi di cellule nervose.

Gli organoidi vengono quindi posizionati sopra una serie di microelettrodi, che viene utilizzata sia per inviare segnali elettrici all’organoide sia per rilevare quando le cellule nervose si attivano in risposta.

Per il compito di riconoscimento vocale, gli organoidi hanno dovuto imparare a riconoscere la voce di un individuo da una serie di 240 clip audio di otto persone che pronunciavano suoni vocalici giapponesi. Le clip sono state inviate agli organoidi come sequenze di segnali disposti secondo schemi spaziali.

Le risposte iniziali degli organoidi avevano una precisione compresa tra il 30 e il 40%. Dopo sessioni di allenamento di due giorni, la loro precisione è salita al 70-80%.

Ma attenzione. Se gli organoidi si espongono a un farmaco che impediva la formazione di nuove connessioni tra le cellule nervose, non si verificava alcun miglioramento.

La formazione prevedeva semplicemente la ripetizione delle clip audio e non è stata fornita alcuna forma di feedback per dire agli organoidi se avevano ragione o torto, afferma Guo. Questo è ciò che nella ricerca sull’intelligenza artificiale è noto come apprendimento non supervisionato.

Anche se le prestazioni di Brainoware possono essere migliorate, un altro grosso problema è che gli organoidi possono essere mantenuti solo per uno o due mesi. Un’altra sfida su cui i ricercatori dovranno lavorare.

Se vuoi saperne di più su questa ricerca, ti consiglio di approfondire al meglio leggendo l’articolo originale pubblicato su Nature Electronics:

  • Hongwei Cai, Zheng Ao, Chunhui Tian, Zhuhao Wu, Hongcheng Liu, Jason Tchieu, Mingxia Gu, Ken Mackie & Feng Guo, “Brain organoid reservoir computing for artificial intelligence“, Nature Electronics DOI: 10.1038/s41928-023-01069-w

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