Idrogeno verde dalla biomassa: un passo verso l’energia del futuro

I ricercatori sudcoreani hanno sviluppato un sistema che quadruplica la produzione di idrogeno verde usando solo luce solare e scarti agricoli

Redazione

L’energia del futuro potrebbe nascere dagli scarti della canna da zucchero. Un team di ricerca sudcoreano ha messo a punto un metodo rivoluzionario per produrre idrogeno verde, utilizzando la luce del sole e una sostanza derivata dalla biomassa agricola, il furfurale.

Idrogeno verde: svolta tecnologica dalla Corea del Sud

Il nuovo sistema, sviluppato presso l’Ulsan National Institute of Science and Technology (UNIST), riesce a generare idrogeno solare a una velocità di 1,4 mmol per centimetro quadrato ogni ora, quattro volte sopra lo standard fissato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti per la commercializzazione di questa tecnologia. Tutto ciò senza ricorrere a combustibili fossili.

La chiave dell’innovazione sta in un processo fotoelettrochimico (PEC) che sfrutta due reazioni distinte ma complementari. Sul primo elettrodo in rame, il furfurale viene ossidato, producendo idrogeno e acido furico, un sottoprodotto molto richiesto in ambito industriale. In parallelo, sull’altro elettrodo in silicio cristallino, la luce solare scinde le molecole d’acqua, generando ulteriore idrogeno.

È proprio questa sinergia tra le due reazioni a permettere un salto di efficienza notevole rispetto ai PEC tradizionali, che si basano solo sulla fotolisi dell’acqua. Il doppio meccanismo non solo raddoppia la resa teorica, ma permette di superare le principali barriere tecniche legate all’energia richiesta per avviare il processo.

Silicio e furfurale: gli ingredienti inattesi dell’energia verde

Come raccontato sul sito specializzato Techxplore, a rendere possibile tutto questo è il sapiente uso del furfurale, un composto organico che si ottiene dagli scarti della canna da zucchero. Si tratta di un materiale facilmente reperibile, a basso costo e derivato da fonti rinnovabili. A fare da catalizzatore, invece, c’è il silicio, materiale abbondante e già ampiamente impiegato nell’industria solare.

Tuttavia, il silicio ha un limite ben noto: produce una tensione relativamente bassa, insufficiente per alimentare reazioni chimiche complesse come la produzione di idrogeno. I ricercatori coreani hanno superato questo ostacolo grazie all’ossidazione del furfurale, che fornisce l’energia mancante e stabilizza il sistema.

Il dispositivo progettato dal team UNIST si distingue anche per la sua architettura ingegneristica avanzata. L’elettrodo in silicio è completamente immerso e dotato di un involucro protettivo in foglio di nichel e vetro, in grado di garantire la stabilità dell’intero sistema anche dopo numerose ore di funzionamento in ambienti elettrolitici.

Questo design “subacqueo” ha anche un altro vantaggio: permette il raffreddamento naturale del dispositivo durante l’esposizione solare, migliorando le prestazioni e riducendo i rischi di degrado termico. Una soluzione semplice ma efficace, che aumenta la durata e l’affidabilità del sistema.

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