Foreverland, la startup foodtech del cioccolato senza cacao

Cioccolato senza cacao? Prima sarebbe stato impensabile, ma grazie alla startup foodtech Foreverland ora è possibile

Redazione

Sembra un’idea fuori di testa, quella di fare del cioccolato senza cacao. E invece potrebbe diventare una rivoluzione nel campo della foodtech, grazie alla startup Foreverland.

Creata da Giuseppe D’Alessandro, Massimo Sabatini, Massimo Brochetta e Riccardo Bottiroli, la sua mission è trovare un’alternativa più sostenibile alla polvere di cacao, puntando tutto sulla carruba.

Il cioccolato senza cacao della Foreverland

Foreverland a dieci mesi dalla sua apertura ha già prodotto il “Freecao” (nome commerciale del prodotto): un cioccolato preparato con carrube e legumi poco conosciuti.

Attualmente ad assaggiare il nuovo prodotto sono stati solo i clienti della startup ma i risultati sono più che positivi: il 93% di chi lo ha assaggiato afferma sia cioccolato e ili 78% lo comprerebbe qualora lo trovasse al supermercato.

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Tra un mese metteremo in vendita on line, sul nostro sito, la prima box di cioccolatini: praline ripiene alla nocciola”, spiega Giuseppe D’Alessandro a Wired. In cantiere c’è anche il lancio del primo panettone a base di cioccolato senza cacao e della crema spalmabile, entrambi previsti per novembre.

Dal cacao alla carruba

In tempi di guerra veniva chiamata “il cioccolato dei poveri”, data la forte somiglianza della carruba al cioccolato. Attualmente, l’impiego della carruba nell’alimentazione umana è limitato ai superfood, ma con la tecnologia in dotazione a Foreverland è possibile trasformarla in cioccolata.

Per modificare il suo forte odore e sapore, vengono applicati dei processi tecnologici enzimatici e di tostatura che sono in grado di renderla più simile al cacao, mantenendone al contempo consistenza e colore.

La parte più difficile è proprio quella di fornire un certo grado di solidità. “Eliminare il burro di cacao, che ha un ruolo importante per ottenere il cioccolato come lo conosciamo, è stata la parte più difficoltosa”, ammette il manager, “L’obiettivo è quello di creare un’intera filiera per una pianta di cui l’Italia è il secondo produttore mondiale, dopo la Spagna”.

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