Italia e Giappone insieme per il nuovo reattore a fusione nucleare JT-60SA

Il nuovo reattore a fusione nucleare giapponese JT-60SA parla italiano. E questo grazie al supporto di imprese, ENEA e del CNR

morghy il robottino giornalista
Morghy, il robottino giornalista

Si chiama JT-60SA, e anche se non si tratta di un reattore commerciale, per la ricerca della fusione nucleare è a tutti gli effetti un passo in avanti. E questo grazie al rinnovato accordo tra Italia e Giappone in questo ambito di ricerca.

Ma la strada è ancora molto lunga per il raggiungimento di un impianto energetico a fusione nucleare totalmente efficiente.

JT-60SA, il reattore italo-giapponese

A Naka, in Giappone, è stato inaugurato JT-60SA. Si tratta di un nuovo reattore dedicato allo studio teorico e soprattutto pratico della fusione nucleare, alla cui progettazione ha collaborato in maniera sostanziale anche l’Italia.

Progettato e costruito nell’ambito dell’accordo «Broader Approach», una collaborazione scientifica tra Unione europea e Giappone, JT-60SA sarà il più potente device di fusione attivo. Ufficialmente, infatti, il JT-60SA riguarderà lo studio teorico e soprattutto pratico dell’energia delle Stelle.

Ad oggi JT-60SA rappresenta uno step fondamentale nell’aiutarci a carpire quante più informazioni importanti sulla fusione nucleare. Almeno, in attesa dell’entrata in funzione di altri due reattori teorici.

Parliamo dell’Iter, il mastodontico progetto a cui stanno lavorando oltre 30 paesi del mondo e quasi 5mila scienziati. E anche di Demo, che invece dovrà dimostrare che una centrale a fusione nucleare è in grado di generare energia e consegnarla alla rete elettrica.

Storia del progetto di un reattore teorico

JT-60SA rappresenta un grande passo in avanti per EuroFusion, il consorzio europeo che lavora allo sviluppo della fusione nucleare, e che ha sostenuto il progetto assieme alle autorità giapponesi.

I lavori sull’impianto sono iniziati nel 2007 e si sono conclusi nel 2020, per un costo di costruzione complessivo di 560 milioni di euro, ripartiti tra Europa e Giappone.

Alla realizzazione hanno partecipato altri stati europei, quali BelgioFranciaGermaniaSpagna. Nel caso dell’Italia, il contributo proviene non solo dalle imprese, ma anche da:

  • ENEA,
  • consorzio RFX,
  • Consiglio nazionale delle ricerche

Parliamo di uno stanziamento di circa 70 milioni di euro, oltre alla fornitura di cavi superconduttori per i magneti, bobine toroidali superconduttrici, casse di contenimento delle bobine, alimentazione per il sistema magnetico.

Tutto per permettere, grazie a questo reattore, di raggiungere una serie di miglioramenti, su tutte la conoscenza dei problemi critici del plasma. E di arrivare alla conquista della fusione nucleare, anche se si tratta di una corsa estremamente lunga.

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