Il mondo dei robot ha un nuovo arrivato. Si tratta del robot seme, realizzato realizzato nei laboratori di Bioinspired Soft Robotics dell’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia a Genova in collaborazione con l’Università di Trento, e che sarà utilizzato per controllare sia la qualità dell’aria che del suolo e per contribuire alla riforestazione.
Com’è nato e cosa fa il robot seme
Realizzato nell’ambito del progetto europeo I-Seed, che mira proprio alla creazione di tecnologie innovative utili a controllare suolo e aria, il robot seme si ispira alla struttura del seme di un geranio di origini sud-africane, il Pelargonium appendiculatum. Proprio come l’originale, anche il piccolo robottino è in grado di cambiare la sua forma in base alle variazioni di umidità dell’ambiente. Nello specifico, a ispirare i ricercatori, sono stati i semi che si staccano dalla pianta, entrano nel terreno e aumentano le probabilità di germinazione. La cosa interessante, però, è che i semi sono in grado di sfruttare i tessuti morti a base di cellulosa privi di metabolismo, che riescono a deformarsi, sfruttando esclusivamente le variazioni di umidità ambientale. E proprio studiando queste caratteristiche i ricercatori sono riusciti a riprodurre la forma combinando tecniche di stampa 3D ed elettrofilatura.
“I nostri studi iniziano dall’osservazione della natura, con l’obiettivo di imitare le strategie degli esseri viventi o delle loro strutture e replicarle in tecnologie robotiche a basso impatto ambientale in termini energetici e di inquinamento”, ha spiegato Barbara Mazzolai, Associate Director per la Robotica dell’IIT e Direttrice del Bioinspired Soft Robotics Lab.
Nello specifico I-Seed, si occuperà di controllare la salute del suolo cercando possibili agenti inquinanti come il mercurio e dell’aria monitorando i livelli di CO2, la temperatura e l’umidità.
“Questi robot biodegradabili e autonomi da un punto di vista energetico verranno utilizzati come strumenti wireless e senza batteria per l’esplorazione e il monitoraggio del suolo superficiale. Questo approccio bioinspirato ci ha permesso di realizzare strumenti a basso costo che potranno essere utilizzati per raccogliere dati in-situ con un’elevata risoluzione spaziale e temporale, soprattutto in aeree remote dove non sono disponibili dati di monitoraggio.” ha aggiunto Luca Cecchini, dottorando di IIT in collaborazione con l’Università di Trento e primo autore dello studio.