Il tema della sicurezza informatica è senza dubbio uno dei più caldi degli ultimi mesi. Ormai gli hacker riescono a trovare i punti deboli dei server dove è presente un ingente traffico di connessioni e dati, mandando in tilt il sistema e chiedendo dei riscatti per ripristinare il tutto.
Basti pensare al controverso attacco hacker ai sistemi di prenotazione vaccini della regione Lazio, che ha sollevato un vero e proprio polverone mediatico. I colpevoli avrebbero violato l’utenza di un dipendente in smartworking e chiesto addirittura un riscatto in bitcoin. La polizia postale, però, non ha reso noto l’importo esatto della cifra.
In questo scenario digitale alquanto nebuloso si inserisce la recente ricerca compiuta dal team Unit 42 di Palo Alto Networks, azienda di nuova generazione attiva nel settore della sicurezza, che ha evidenziato come quest’anno la richiesta più alta in assoluto di riscatto per un attacco ransomware sia stata attorno ai 50 milioni di dollari.
Una cifra nettamente in rialzo rispetto allo scorso anno, quando si aggirava sui 30 milioni di dollari. I pagamenti effettuati, invece, si aggirano mediamente sui 570.000 dollari, con un aumento dell’82% rispetto all’anno precedente che a sua volta aveva visto un aumento del 171% rispetto al 2019.
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Ma perchè i prezzi sono aumentati a dismisura? Secondo gli esperti i cyber criminali hanno iniziato a sfruttare il sistema della doppia estorsione, mettendo sotto pressione i malcapitati per costringerli a pagare. Le vittime di attacchi, infatti, non desiderano soltanto recuperare i dati criptati, bensì anche evitare che vengano diffusi pubblicamente.
Uno degli attacchi più noti ha colpito la società di informatica Kaseya, a cui erano stati inizialmente chiesti l’equivalente di 70 milioni di dollari in Bitcoin, poi scesi a 50 milioni di dollari. L’ultimo pagamento confermato per un attacco ransomware è stato invece è di 11 milioni di dollari, da parte di JBS Foods per il gruppo REvil.